23/SET/2016Studio Legale Gherardini

LEGGE PINTO: EQUA RIPARAZIONE IN CASO DI VIOLAZIONE DEL TERMINE DI RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO

Con il Decreto n. 2015/2015 del 04.11.2015 la Corte d'Appello di Ancona ha condannato il Ministero della Giustizia al risarcimento dei danni a favore del Sig. L.A. a causa della violazione del termine di ragionevole durata del processo, ai sensi dell'art. 2 della legge n.89 del 2001 (c.d. Legge Pinto).

Il predetto disposto normativo, infatti, fissa in tre anni la durata massima dei giudizi di primo grado, in due anni per il giudizio di secondo grado ed in anni uno per il giudizio di legittimità di fronte la Corte di Cassazione. Inoltre, viene previsto dall'art. 2 ter della legge in parola che: "si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni".

Il provvedimento della Corte D'Appello di Ancona ha ribadito il diritto dei cittadini a ottenere il ristoro del pregiudizio patito ogni qual volta il processo abbia avuto una durata superiore ai termini sopra indicati, indipendentemente dal fatto che essi stessi siano parte vittoriosa o soccombente.

Trattasi di un obbligo di natura internazionale assunto dallo Stato Italiano unitariamente considerato in tutti i suoi poteri e tutte le sue articolazioni strutturali, con la conseguenza che quest'ultimo è obbligato a rispondere non solo per il comportamento negligente degli organi giudiziari, ma più in genere per il fatto di non aver provveduto ad organizzare il proprio sistema giudiziario in modo da consentirgli di soddisfare con ragionevole velocità la domanda di giustizia. (Sentenza CEDU 26.10.1988, Martins Moreira c/ Portogallo; Sentenza CEDU 10.12.1992 Boddeart c/ Belgio). 

Nello specifico, la vicenda oggetto della pronuncia della Corte D'Appello di Ancona trae origine da una causa civile instaurata nel febbraio del 2004 e conclusasi in primo grado soltanto in data 11.04.2014, dopo oltre 10 anni dal suo inizio.

La parte vittoriosa, per il tramite dello studio legale, depositava ricorso presso la Corte d'Appello di Ancona con cui chiedeva di accertare la violazione da parte del Ministero della Giustizia dell'art.2, comma 2 bis della legge 89/2001 (Legge Pinto) e conseguentemente condannare quest'ultimo a risarcire i danni non patrimoniali derivanti dal mancato rispetto del termine di ragionevole durata del procedimento di primo grado.

La Corte d'Appello di Ancona, accoglieva il ricorso ed emetteva decreto di condanna del Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 3.500,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria e oltre Euro 477,00 a titolo di spese legali.

In conformità a quanto prescritto dal previgente art. 2 bis della legge n.89/2001 veniva così riconosciuta la somma di Euro 500,00 per ogni anno di ritardo (in totale sette anni) nella definizione del processo di primo grado, rispetto al termine massimo di ragionevole durata stabilito dalla legge (pari a tre anni).

Tuttavia, pare opportuno evidenziare che al momento della proposizione del ricorso non erano ancora entrate in vigore le novità normative introdotte dalla Legge n. 208 del 30.12.2015 (Legge di Stabilità 2016).

Difatti la legge di stabilità 2016 ha introdotto delle importanti modifiche all'impianto normativo della legge Pinto che hanno inciso, in modo particolare, sul diritto del cittadino di ottenere l'indennizzo nonché sui presupposti necessari per l'accoglimento del ricorso.

Sicuramente la novità più rilevante è l'introduzione del concetto di "rimedio preventivo", che impone alla parte di fornire prova delle iniziative processuali intraprese per arrivare a una rapida definizione del giudizio (istanze di accelerazione, istanze di prelievo, utilizzo di riti sommari, riunione delle cause e trattazione delle cause ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c.).

In caso di mancato rispetto dei rimedi preventivi sopra descritti il novellato art. 2 della Legge Pinto prevede che la domanda di equa riparazione venga dichiarata inammissibile.

Il predetto disposto normativo stabilisce, inoltre, che non è riconosciuto l'equo indennizzo: "in caso di abuso dei poteri processuali che abbia determinato una ingiustificata dilazione nei tempi del procedimento" e quando la parte "ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese".

Dunque, la Corte d'Appello (ora sarà competente la Corte d'Appello del circondario ove è situato l'ufficio giudiziario che ha violato i termini di ragionevole durata del processo), dopo l'introduzione della riforma in parola, dovrà effettuare una valutazione di merito sulla fondatezza delle difese spiegate dalle parti e sul loro comportamento processuale.

Per quanto concerne, invece, la misura dell'indennizzo, si rileva come è stato stabilito un minimo di euro 400,00 e un massimo di euro 800,00 in luogo del limite massimo di Euro 500,00 precedentemente stabilito dalla legge.

 

(Articolo a cura dell'Avv. Pier Giulio Manardi e dell'Avv. Remo Gherardini)

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