12/NOV/2021Studio Legale Gherardini

Il diritto alla provvigione dell’agente immobiliare anche in caso di conclusione dell’affare per mezzo del successivo intervento di altro mediatore | Studio Legale Gherardini

CASE STUDY: Con atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Bologna in favore di un agente immobiliare (per il pagamento della provvigione richiesta a seguito di un’attività di mediazione immobiliare), il debitore ingiunto chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo, deducendo che l’acquisto dell’immobile era stato effettuato avvalendosi dell’attività di mediazione prestata da altro agente immobiliare, il quale aveva raccolto la proposta di acquisto, poi accettata dal venditore.

Infatti, la proposta di acquisto formalizzata a mezzo del primo agente immobiliare non era stata accettata, e, pertanto, il soggetto interessato all’acquisto del bene, dopo aver casualmente rivisto l’immobile in pubblicità presso altra agenzia, e formulato una nuova proposta di acquisto per un diverso importo, finalmente accettata dal venditore, concludeva l’affare per effetto di quest’ultimo intervento.

Oltre alla revoca del decreto ingiuntivo era chiesta la chiamata in causa della seconda agenzia immobiliare e di parte venditrice del bene immobile, oltre alla condanna di controparte ex art. 96 c.p.c. e alle spese di lite.

L’agente immobiliare, convenuto e costituitosi nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, chiedeva il rigetto della domanda di parte opponente perché infondata in fatto e in diritto, assumendo la sussistenza di un rapporto causale tra l’intervento da lui svolto nella prima fase della trattativa e la successiva conclusione della compravendita, considerato altresì che il venditore del bene immobile gli aveva conferito mandato in esclusiva che era ancora efficace al momento della stipula. Egli chiedeva, pertanto, la conferma del decreto ingiuntivo e la condanna alle spese di lite.

Citati ritualmente i chiamati in causa come da autorizzazione del Giudice, si costituiva solamente il secondo agente immobiliare, il quale contestava i fatti e la propria vocatio in ius non avendo egli alcun rapporto con l’agente immobiliare opposto ed avendo ricevuto la provvigione da parte acquirente che la riconosceva a seguito dell’attività di mediazione da lui svolta. Rimaneva contumace parte venditrice, parimenti chiamata in causa dal debitore ingiunto (ossia da parte acquirente).

IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO: Istruita la causa documentalmente, ritenuta così matura per la decisione, il Tribunale accoglieva l’opposizione al decreto ingiuntivo, revocandolo e condannando il ricorrente opposto (ossia il primo agente immobiliare) al pagamento delle spese di lite relative al giudizio di opposizione.

In particolare il Giudice del Primo grado di giudizio valutava che le circostanze di fatto della vicenda fossero del tutto pacifiche. In diritto, esso riteneva che la mancata accettazione della proposta formulate attraverso l’attività del primo agente immobiliare fosse dirimente. In considerazione di ciò, anche l’impegno di pagamento della provvigione, assunto dalla parte interessata all’acquisto dell’immobile, era in realtà condizionata alla conclusione dell’affare, evento non verificatosi a causa del rifiuto della prima proposta di acquisto da parte del venditore e dunque in considerazione del non perfezionamento della condizione sospensiva.

Anche sul piano dell’indagine del rapporto causale, il Tribunale affermava - alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte richiamata sull'art. 1754 c.c. - la mancanza di collegamento eziologico tra i contatti posti in essere dal primo agente immobiliare e la conclusione dell’affare (secondo il tribunale, conseguito solo con la messa in contatto delle parti ad opera di un diverso mediatore e la formulazione di una nuova proposta da parte dell’acquirente) non essendosi prima di allora perfezionato l’affare necessario per far sorgere il diritto alla provvigione in capo al precedente mediatore immobiliare.

Neppure poteva applicarsi – riteneva il Tribunale di Bologna - l’art. 1758 c.c. che prevede l’ipotesi di affare concluso per l’intervento di più mediatori e che sorge soltanto quando essi abbiano cooperato simultaneamente e di comune intesa, ovvero autonomamente, ma giovandosi l'uno dell'attività espletata dall'altro, alla conclusione dell'affare, in modo da non potersi negare un nesso di concausalità obiettiva tra i loro interventi e la conclusione dell'affare, sempre che si sia trattato dello stesso affare, sia sotto il profilo soggettivo, che oggettivo.

Come detto il decreto ingiuntivo veniva revocato e le spese di lite seguivano la soccombenza dell’opposta nei confronti dell’opponente e del terzo chiamato.

IL SECONDO GRADO DI GIUDIZIO: l’agente immobiliare, rappresentato e difeso dallo Studio Legale, proponeva appello avanti la Corte di Appello di Bologna impugnando così la decisione adottata dal Tribunale.

L’appellante chiedeva la riforma della sentenza di primo grado affidandosi a più motivi di impugnazione.

In particolare, con l’appello proposto, lo Studio Legale censurava l’infondatezza dell’opposizione al decreto ingiuntivo cui si aggiungeva l’erronea ricostruzione dei fatti operata dal Primo Giudice. Era lamentata, altresì, la violazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. e richiamata varia giurisprudenza a supporto della fondatezza della pretesa creditoria della istante. La sentenza era censurata anche in punto di regolazione delle spese di lite.

Per tali motivi l’appellante concludeva affinché la Corte volesse riformare integralmente la impugnata Sentenza emessa dal Tribunale di Bologna e conseguentemente:

- in via principale chiedeva dichiararsi l’inammissibilità e /o comunque il rigetto, perché infondata in fatto ed in diritto, dell'opposizione al Decreto Ingiuntivo svolta nel giudizio di primo grado da parte opponente e, per l'effetto, confermare la piena validità ed efficacia del Decreto Ingiuntivo stesso;

- in via subordinata, chiedeva il rigetto di tutte le domande formulate da parte opponente con l’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo, nonché di quelle tutte formulate nel corso del giudizio di primo grado, e la condanna comunque di parte opponente (appellata in secondo grado) al pagamento, a titolo di provvigione e/o a titolo risarcitorio, in favore dell’agente immobiliare, di quella diversa somma ritenuta e determinata secondo giustizia dalla adita Corte d’Appello per l’attività di mediazione tutta svolta dall’appellante e per l’effetto causale che detta attività aveva avuto per la conclusione dell’affare intercorso tra parte venditrice e parte acquirente relativamente alla compravendita del bene immobile.

- nella denegata e non creduta ipotesi di conferma nel merito della sentenza impugnata, chiedeva l’accoglimento parzialmente dell’appello proposto e la riforma parziale della sentenza impugnata in merito alle spese di lite, compensando le stesse tra le parti in causa ovvero compensandole tra le parti, e/o ponendo a carico del solo opponente nel giudizio di primo grado le spese legali per la difesa della terza chiamata.

- il tutto con vittoria di spese legali del doppio grado di giudizio.

Si costituiva in giudizio parte appellata chiedendo - preliminarmente - la declaratoria d’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. e - nel merito - il rigetto di tutte le domande proposte nei di lui confronti con condanna ex art. 96 c.p.c. ed alle spese di lite. In via incidentale, condizionata nei confronti della terza chiamata, era reiterata la domanda di malleva oltre alla riforma in punto di spese legali da addossarsi interamente alla controparte (appellante).

Si costituiva poi anche il secondo agente immobiliare eccependo l’inammissibilità degli appelli sia principale che incidentale ex art. 348 ter c.p.c. oltre che – quanto all’appello incidentale svolto nei suoi confronti da parte appellata - perché tardivo e, nel merito, il rigetto con conferma integrale della sentenza e vittoria di spese legali in entrambi i gradi del giudizio.

Con sentenza n. 2663/2020 pubbl. il 09/10/2020 la Corte d’Appello di Bologna accoglieva l’appello proposto dallo Studio Legale.

La Corte conformemente all’appello proposto, ed alla giurisprudenza ivi citata, affermava che nel merito:

  • è acclarato in giurisprudenza (sia di merito che di legittimità) che il mediatore, per aver

    diritto alla provvigione, deve avere portato un determinante contributo alla formazione dell’accordo da cui nasce l’affare e si deve perciò poter rilevare il “nesso causale” tra la sua azione e l’affare concluso;

  • occorre anche che l’opera del mediatore, sia pure in concorso con altri fattori causali sia stata condicio sine qua non della conclusione dell’affare (ex multis Cass. sent. n. 2814/2014);

  • secondo la Suprema Corte per ritenere la sussistenza del nesso causale potrebbe anche bastare che il mediatore abbia mostrato all’acquirente l’immobile, pure se l’affare sia stato concluso in modo diretto tra le parti attraverso fasi e vicende successive alla messa in relazione (cfr. Cass. sent. n. 9884/2008) e quando il contratto sia stato stipulato nell’assenza e all’insaputa del mediatore ma le parti si siano comunque avvalse dell’opera da questi precedentemente svolta (cfr. Cass. sent. n. 981719679);

  • posto che non può essere riconosciuta una duplicazione delle provvigioni, il diritto alla ripartizione del compenso tra più mediatori sorge, ex art. 1758 c.c., quando essi abbiano cooperato simultaneamente e di comune intesa, oppure autonomamente, ma giovandosi l’uno dell’attività espletata dall’altro, alla conclusione dell’affare, in maniera tale da potersi affermare un nesso di concausalità obiettiva tra i loro interventi e la conclusione dell’affare medesimo, sempre che si sia trattato dello stesso affare, sia sotto il profilo soggettivo, che oggettivo.

  • affinché detto rapporto di concausalità sia ravvisabile, l’attività dei mediatori potrà estrinsecarsi sia contemporaneamente fra loro sia successivamente l’una all’altra, purché però in quest’ultimo caso, l’attività dell’uno abbia tratto beneficio dall’attività svolta dall’altro.

  • la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, precisa altresì che è onere del mediatore che fa valere il diritto alla provvigione di provare sia di aver posto le parti in contatto tra loro, sia che in seguito a questo contatto ed eventualmente all'ulteriore opera di mediazione da lui svolta, è stata possibile la conclusione dell'affare.

  • Il riconoscimento del contributo causale minimo si fonda sull’art. 1755 c.c. che pone come requisito necessario affinché si maturi il diritto alla provvigione che il contratto si sia concluso «per effetto dell’intervento del mediatore».

  • Quello che è indispensabile è che si possa sostenere che senza l’attività di messa in relazione svolta dal mediatore l'affare de quo non si sarebbe realizzato, di talché il diritto alla provvigione può essere riconosciuto.

  • La valutazione circa la sussistenza del nesso di causalità, in quanto accertamento di fatto, è rimessa all'apprezzamento del giudice di merito.

  • Inoltre, quando l'affare sia concluso con l'intervento di più mediatori (congiunto o distinto, contemporaneo o successivo, concordato o autonomo, in base allo stesso incarico o a più incarichi) a norma dell'art. 1758 c.c., ciascuno di essi ha diritto ad una quota di provvigione (nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva negato l'applicabilità dell'art.1758 c.c. poiché i due mediatori avevano agito l'uno all'insaputa dell'altro, non cooperando di comune intesa fra di loro, né giovandosi ciascuno dell'attività dell'altro per la conclusione dell'affare. Cfr. Cass. sent. n. 1507/2007).

  • Conformemente alla Corte di legittimità, che: “In caso di pluralità di mediatori, che abbiano operato simultaneamente e di comune intesa alla conclusione dell'affare, ovvero abbiano agito successivamente in modo autonomo ma giovandosi l'uno dell'utile apporto degli altri con contributo di tipo anche meramente integrativo ai fini del raggiungimento dell'accordo, in modo da non potersi negare un nesso di concausalità obiettiva tra i singoli e separati interventi dei vari mediatori e la conclusione dell'affare, occorre distinguere a seconda che tutti o alcuni soltanto siano entrati in relazione con le parti o almeno una di esse, nel primo caso ciascun mediatore avendo azione diretta per il pagamento della provvigione e, nel secondo, il mediatore che non ha preso contatto potendo agire in rivalsa nei confronti del mediatore o dei mediatori che hanno ottenuto il pagamento dell'intera provvigione. Poiché l'art. 1758 c.c. pone la regola della ripartizione pro quota della provvigione, con implicita esclusione della solidarietà, ciascun mediatore ha diritto ad una quota della medesima e l'obbligato può considerarsi liberato solo quando abbia corrisposto a ciascuno la quota spettantegli, a meno che non sia stata pattuita la solidarietà dell'obbligazione dal lato attivo, nel qual caso è liberatorio il pagamento dell'intera provvigione ad uno solo dei mediatori, avendo gli altri azione esclusivamente contro quest'ultimo per ottenere la propria parte; nell'ipotesi, peraltro, in cui solo alcuni siano iscritti al ruolo istituito con legge n. 39 del 1989, non spetta ai non iscritti la provvigione, non potendo pertanto essi ripetere dall'accipiens la quota eccedente al medesimo eventualmente versata (pur non avendo quest'ultimo diritto di riceverla trattandosi di pagamento privo di causa), ma tuttavia, ove l'intermediato deliberatamente versi al mediatore iscritto la quota sua e quella del non iscritto, e l'accipiens rilasci quietanza interamente liberatoria, il mediatore non iscritto può pretendere da colui che l'ha ricevuta e la trattiene senza causa il pagamento della somma versata in suo favore, giacché in tale ipotesi egli non fa valere il diritto alla provvigione, bensì il diritto corrispondente all'obbligo insorgente in capo all'accipiens per avere ricevuto, rilasciandone quietanza liberatoria, (anche) la parte di quota in relazione alla quale è privo di titolo.” (cfr. Cass. sent. n. 5766/2005).

  • In conformità con le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che: “L'intervento di più mediatori nell'affare non attribuisce ad ognuno di essi il diritto ad una quota eguale di provvigione, dovendo la misura di detta quota essere, invece, rapportata all'entità ed all’importanza dell'opera prestata da ciascuno dei mediatori intervenuti.” (Cass. SS. UU. sent. n. 2657/1974).

    In applicazione dei principi sopra elencati, la Corte d’Appello adita riteneva che parte convenuta opposta/appellante avesse diritto alla provvigione giacché la sua attività di mediazione, secondo l'apprezzamento del Collegio, aveva svolto il ruolo causale richiesto alla luce della citata giurisprudenza dominante e all'esito dell'istruttoria di primo grado.

Scarica il documento Sentenza CDA BOLOGNA N. 2663.2020.pdf
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